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Formaggi biellesi: eccoli "schedati"

Dal macagn' alla toma, una selezione di specialità casearie tipiche da non perdere, e i posti dove gustarle

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Fra i pregi della vita d’alpeggio, c’è sicuramente quello di poter guastare degli ottimi formaggi. Soprattutto se la montagna è quella del Biellese, dove la gastronomia si distingue per prelibatezza e per la varietà della produzione casearia. Dal burro di cascina al celebre macagn’, i formaggi del Piemonte - e in particolare della zona conosciuta come le Alpi Biellesi – sono un vero e proprio tesoro locale, un paradiso del palato spalancato ai visitatori dell’Oasi Zegna che, fra una struttura e l’altra del parco naturale di Trivero Valdilana, potranno assaggiarli in un contesto naturalistico senza pari. Qui proponiamo un elenco in ordine alfabetico – non esaustivo, ma perlomeno indicativo - di specialità  da non perdere, tipiche del territorio biellese.

Il bëddu è un formaggio semimagro a breve stagionatura, ottenuto dal latte vaccino proveniente da un’unica mungitura, scremato per affioramento dopo una sosta di dodici ore nelle tradizionali caldaie di rame. Di forma cilindrica, si consuma fresco già dal primo giorno di produzione, ancora sapido di latte e parzialmente bagnato di siero dopo otto-quindici giorni di maturazione su assi di abete coperte di paglia, coperto di una patina paglierina (la “camisa”), con un sapore deciso e una consistenza cremosa. Il bëddu fresco ha un sapore delicato e aromatico dovuto alle erbe di montagna . Si abbina tradizionalmente alle insalate primaverili condite con olio di noce, o alla tipica mostarda di mele.

Il burro di cascina nasce grazie a una tecnica di lavorazione che prevede l’affioramento naturale della panna, che poi, lavorata per sbattimento nella zangola, lascia separare le particelle grasse dal latticello. Il grasso prelevato e lavato più volte in acqua fredda viene modellato in panetti e confezionato (burro di casone). Nei caseifici, la separazione avviene per centrifugazione con l’eventuale aggiunta di fermenti selezionati per migliorare le qualità organolettiche (“burro di cremeria” o “da tavola”) oppure lasciando che la crema di centrifuga fermenti spontaneamente (“burro di centrifuga”). Molto comune è anche il burro ricavato dal siero del latte secondo una tecnica che permette di sfruttare il grasso rimasto nel liquido dopo la fabbricazione del formaggio (“burro di siero”).

Il caprino lattico fa parte dei formaggi caprini, puri o con mescolanza di latte vaccino. È un formaggio a fermentazione naturale, con aroma e consistenza particolari: si presenta in diverse forme – cilindriche, coniche, piramidali – e può essere consumato fresco o dopo breve stagionatura. Viene messo in commercio al naturale, o con l’aggiunta in superficie di erbe aromatiche, vinacce o cenere. Ha una pasta di colore bianco candido che assume in bocca una consistenza setosa dal profumo, sapore e aroma caratteristici.

Il macagn’ è un formaggio di latte vaccino intero che si ottiene cagliando il latte appena munto, non pastorizzato. La cagliata, riscaldata a una temperatura superiore ai 40° e contemporaneamente rotta, viene estratta e passata a mano: le forme ottenute sono quindi sottoposte a breve o moderata stagionatura (minimo venti giorni, massimo due messi). La pasta è compatta e ha un colore tra il bianco e il paglierino, un sapore delicato con aroma di erbe dei pascoli. Prende il nome dall’alpeggio situato in Valsesia a un’altitudine di 2.200 metri che per tradizione è utilizzato dagli alpigiani biellesi.

Il maccagno si distingue dal macagn’ perché è ottenuto partendo sia da latte vaccino intero pastorizzato, sia da latte non pastorizzato. È un formaggio a pasta semicotta prodotto in tutta l’area biellese, con una metodologia che non si discosta molto da quella del macagn’ per quanto riguarda il riscaldamento della cagliata, la rottura e la pressatura. Le forme cilindriche stagionano in ambienti freschi e umidi per un periodo che può variare dai venti giorni ai tre mesi, durante il quale assume una consistenza e un sapore via via più intensi e peculiari.

La mascherpa si ottiene con il siero rimasto dalla lavorazione della toma o del macagn’, che viene rimesso nella caldaia e portato all’ebollizione con l’aggiunta di una piccola quantità di limone o aceto utili a favorire la coagulazione della caseina. I piccoli fiocchi che affiorano in superficie vengono recuperati e messi a scolare per un paio di giorni in un telo a trama larga. Successivamente, vengono impastati con erbe aromatiche e bacche di ginepro pestate. Le forme, a cilindro stretto o a tronco di cono, sono lasciate a stagionare accanto al focolare per un periodo che va da una settimana a tre mesi, durante il quale assumono sapori e consistenza via via più marcate.

La toma biellese è preparata con latte vaccino da animali della razza pezzata rossa di Oropa, proveniente da due mungiture successive e sottoposto a una parziale scrematura. Il latte viene riscaldato a 38° e coagulato con l’aggiunta di caglio. Si procede, quindi, alla rottura della cagliata “a chicco di riso”, poi all’estrazione e alla pressatura manuale, spesso integrata con quella meccanica. La salatura avviene in genere per immersione: seguono l’asciugatura e lo strofinamento con uno straccio imbevuto di salamoia per almeno una settimana, dopodiché si procede alla stagionatura che può durare alcuni mesi. La pasta è di colore giallo paglierino. Compattezza e sapidità si accentuano con il procedere della stagionatura.

La toma brusca ha una pasta dalla consistenza particolare, dovuta al diverso punto di acidità del latte utilizzato: tradizionalmente, era preparato unendo al latte della mungitura serale (che tenuto in ambienti tiepidi iniziava a inacidire, durante la notte, grazie all’opera dei batteri lattici) quella munto il mattino successivo. Oggi viene prodotto con latte vaccino intero, caglio e fermenti lattici in forme cilindriche che pesano intorno ai tre chili. La pasta bianca, semidura, presenta una struttura unita e leggermente granulosa, che, con il procedere della stagionatura – variabile fra i trenta e i novanta giorni – diventa più compatta, morbida e sapida.

Il tomino di Sordevolo è un formaggio fresco dalla consistenza gelatinosa, preparato con latte intero in forme che pesano circa quattrocento grammi. Al latte appena munto viene aggiunto il caglio e, dopo un riposo di circa un’ora, si procede alla rottura della cagliata, fatta in modo da ottenere frazioni di grosse dimensioni. La cagliata viene quindi estratta, messa nelle fascere a sgocciolare e subito messa in commercio. Si mangia al naturale, con un pizzico di sale, oppure impastato con olio, aceto, sale e spezie (sancarlìn e frachèt) o insaporito con la tradizionale mostarda di mele. 

Per una panoramica sulle strutture presenti nell’Oasi Zegna dov’è possibile gustare i formaggi tipici, clicca qui.

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