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Sui sentieri delle antiche miniere: in Valsessera un patrimonio storico

L'archeologo Maurizio Rossi ha diretto gli scavi ventennali, ecco cos'ha scoperto

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C’erano una volta le miniere. Il loro sfruttamento arrivò prima della lana, tra il tardo Medioevo e il XIX secolo, quando il Biellese era ancora un territorio in cerca di una vocazione. Questo racconta il parco geominerario dell’Alta Valsessera, tanto studiato da una squadra di esperti che per quasi vent’anni ha condotto scavi in tutta l’area all’interno dell’Oasi Zegna. Scavi che sono visitabili da chiunque sia curioso di apprendere quest’antica storia.

Anche le miniere sono arte. Maurizio Rossi, lei è l’archeologo che ha diretto quegli scavi, condotti in varie riprese tra il 2002 e il 2019. Che ne pensa?
"Assolutamente. Gli scavi, promossi dalla Comunità Montana, dalla Soprintendenza archeologica e dall’Università di Torino, hanno riportato alla luce un patrimonio”.

Cosa raccontano? 

“Che la Valsessera, e in generale le montagne del Piemonte, non sono spazi naturali, come si potrebbe pensare. Anzi il loro interesse è proprio quello di essere un patrimonio storico ambientale. L’attività umana ha prodotto sull’ambiente naturale tanti di quei cambiamenti che, si dice, non c'è pietra su queste montagne che non sia stata spostata almeno tre volte dall’uomo”.

Ricostruzione grafica dell’area archeo-siderurgica di Rondolere (disegni F. Corni)
Ricostruzione grafica dell’area archeo-siderurgica di Rondolere (disegni F. Corni)
E cosa dicono della storia produttiva del territorio? 
“Che il Biellese ha avuto uno sviluppo industriale importante incentrato sulla lana che ha dato grande soddisfazione. Ma in precedenza, basandosi sulla disponibilità di acque e di boschi, le genti di queste montagne hanno tentato altre vie, come quella delle miniere. Lo hanno fatto a partire dal tardo Medio Evo, ma soprattutto alla fine del XVIII, inizio XIX secolo, quando sono state realizzate escavazioni piuttosto estese. La miniera principale, l’Argentera, ha un chilometro di gallerie sotterranee”. 

Sono visitabili con guida o ci si può muovere in maniera autonoma? 
 
“Premetto che le miniere non sono assolutamente visitabili, soprattutto per una questione di incolumità. Tutta l’area è corredata di tabelloni che spiegano la natura dei siti archeo-minerari e degli scavi e sono sufficienti per fare il giro anche da soli, ma volendo ci si può rivolgere a una guida. I riferimenti si trovano sul sito geoparcominerariovalsessera.eu (qui il link alla pagina delle guide), dove abbiamo pubblicato anche le mappe dei vari percorsi. Sono quattro i circuiti ad anello che corrono intorno agli antichi siti in cui venivano estratti i minerali metalliferi. Le aree archeometallurgiche visitabili sono due: Rondolere e Opificio in riva destra Sessera, entrambe accessibili a piedi dalla Casa del Pescatore, lungo la Panoramica Zegna". 

Cosa si estraeva? 
“C’erano due tipi di mineralizzazioni. I solfuri misti davano in parti diverse piombo, rame, argento e oro. La redditività era data dall’estrarre tutti questi metalli. Si è sempre trattato di miniere non molto redditizie. Le carte del ‘700 che abbiamo ritrovato parlano di spese abbondanti e ricavi scarsi. Lo sfruttamento di questo tipo di minerali è stato fatto soprattutto nell’età dei Savoia, perché la disponibilità diretta dei metalli era cosa fondamentale per i regnanti di uno Stato in ascesa che avevano necessità strategiche, ossia di costruire armi e battere moneta. Gli addetti ai lavori non erano tantissimi, al massimo 50 o 60 persone che in certi periodi lo Stato Sabaudo faceva arrivare dall'esperta Germania".  

Il secondo tipo di mineralizzazioni?
 
"Magnetite, ossido di ferro, ancora meno remunerativa. Questa veniva sfruttata non dagli Stati, ma dai privati, come dimostra un documento che risale al 1570 e che testimonia la concessione a firma del duca Emanuele Filiberto con la quale concedeva la miniera delle Rondolere a una dama di corte".   

Rondolere è una delle testimonianze più interessanti, vero?
 
"L’altoforno di Rondolere, benché piccolo, costituisce un caso molto interessante perché pur avendo lavorato solo una ventina d’anni, dal 1788 al 1804, è stato ristrutturato e trasformato da un tipo di lavorazione tradizionale a un modello francese, più produttivo. Qui nel giro di duecento metri si passava dal minerale direttamente al prodotto finito. Si produceva ghisa che poi veniva trattata, trasformata in acciaio e utilizzata per forgiare attrezzi agricoli".

Quando si è avuto il massimo sviluppo? 
"A metà del ‘700. Poi è iniziata la curva discendente nella produzione, fino all’abbandono che per quanto riguarda i solfuri misti si è avuto nel 1778, per quanto riguarda il ferro nel 1813".
   
Cosa si vede a Rondolere? 
"Era, come si diceva, uno stabilimento siderurgico per il trattamento della magnetite di Pietra Bianca. Abbiamo ricostruito quasi completamente un alto forno e altri impianti. Il bello del lavoro fatto è che siamo riusciti a mettere i documenti storici a confronto con i resti sul territorio".
  
E l’Opificio in Riva destra Sessera?  
"Era alto tre piani, circa 400 metri quadrati calpestabili, costituito da frantoio, grande laveria con vasche per i lavaggi e forno di assaggio. I minatori arrivavano con il minerale, lo frantumavano fino a formare sabbia, la lavavano, poi riempivano sacchi che venivano caricati sui muli e portati in un altro sito, più a valle, vicino al rifugio Piana del Ponte, dove c’era la fonderia".
  
Perché la visita al parco minerario interessa i visitatori? 
"Perché l’archeologia della produzione è qualcosa in cui la gente si immedesima parecchio. Ognuno di noi ha un antenato fabbro o montanaro. E’ un tipo di archeologia che racconta il lavoro quotidiano, quello delle attività produttive, dunque è un qualcosa di molto vicino all’esperienza di ognuno di noi, specie in un territorio laborioso come il Biellese. Il lavoro è un tema che interessa, come racconta bene Primo Levi nel libro La chiave a stella che parla proprio del piacere del ‘rusco’, del lavorare sodo". 

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