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Erbe spontanee, quali raccogliere d'estate e come usarle in cucina

I consigli dell'esperta Mina Novello su come raccogliere e cucinare le specie presenti nell'Oasi Zegna

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«Se ami davvero i fiori, devi chiamarli con il loro nome». Parte da questa semplice considerazione paterna il percorso che ha condotto Mina Novello, negli anni, ad approfondire la conoscenza dei fiori e delle piante che crescono spontaneamente dal terreno nel Biellese, e soprattutto nell’area che ricade entro il perimetro dell’Oasi Zegna.
Laureata in economia, un trascorso da insegnante di matematica e scienze, Mina Novello guida gruppi di persone all’interno del parco naturale di Bielmonte alla scoperta delle erbe spontanee e degli infiniti modi che ci sono per portarle in tavola.

Il periodo estivo, come ogni altro, porta con sé una varietà di vegetali da raccogliere e da usare in cucina. Ma è un’attività alla portata di tutti, quella di raccogliere le erbe spontanee, o per i neofiti può comportare qualche rischio? «Ci sono erbe riconoscibili da tutti – racconta Mina - come l’ortica, il tarassaco (anche detto “soffione”) che tutti, da bambini, abbiamo imparato a conoscere. Oltre a essere commestibilissime, hanno proprietà mineralizzanti e depurative. Ci sono anche piante velenose, chiaramente: avventurarsi alla ricerca di specie particolari, come la radice di genziana, pianta che può essere facilmente scambiata con il veratro (che cresce nelle stesse condizioni ambientali ma è velenoso) può comportare rischi. Anche la cicuta, già ben nota alla cultura popolare, è velenosa. Diciamo che, in linea di massima, ci si può far consigliare dal proprio naso, e dal buonsenso. Un buon metodo è quello di impratichirsi con le erbe più comuni, per poi cimentarsi con quelle più particolari».


Mina Novello
Mina Novello
Dicevamo: l’estate ha i suoi frutti, e anche le sue erbe. «In questo periodo – spiega Mina Novello – possiamo raccogliere ortiche. Il malgaro le taglia perché nei pressi degli alpeggi crescono molto rigogliose, ma le punte sono sempre tenere e buone da mangiare. L’acetosa, che chiamiamo anche “erba brusca” per via della sua caratteristica punta di acidità, ricresce rapidamente a ogni sfalcio, anche quando le mucche l’hanno ridotta al livello del terreno: dopo due settimane è di nuovo lì, ed è anche molto dissetante. È buonissima nella fonduta di maccagno, una ricetta tipica della Valsessera. Ancora, ci sono i fiori di trifoglio alpino, sferici, con tonalità che virano dal rosa al violaceo. Sono ottimi fritti in pastella, o nella minestra di riso e latte. E poi il buonenrico, uno spinacio di montagna che si raccoglie sempre, anche quando la pianta è fiorita. Si adatta benissimo ai risotti, alle torte salate, alle minestre… In linea di massima lo si può usare come gli spinaci comuni. Il crescione, abbondante nei rigagnoli che scendono numerosi dalle montagne ed è ottimo nelle insalate. L’alchemilla, una pianta molto graziosa anche nell’aspetto, le cui foglie sembrano piegate a ventaglio. Qui la chiamiamo “erba della rugiada”: al mattino, da ogni piega del ventaglio sporge una goccia di rugiada. Le foglie, anche in questo caso, si aggiungono alle insalate».

Raccoglierle, ma anche conservarle. Soprattutto col caldo, sapere come preservarne le caratteristiche organolettiche e nutritive è importante. Neanche questo aspetto sembra essere problematico. «Le erbe si possono conservare in buona parte nel congelatore. Vanno lessate molto rapidamente in acqua salata, ben sgrondate, e infine congelate. In questo modo se ne assesta il volume, il colore, e poi, passandole in acqua fredda dopo la scottatura rimangono belle verdi». Per ciò che riguarda le tecniche di raccolta, vale sempre la regola del buonsenso. Non occorrono strumenti complessi, né particolari accorgimenti, se non quelli che adotterebbe qualsiasi persona rispettosa della natura.
«Queste erbe, di solito, vengono falciate – spiega Mina – o vanno a formare il foraggio. Prenderne un po’ non crea alcun problema per l’ambiente. È buona regola raccogliere solo le parti aeree, senza strappare la pianta. Così facendo, si limita molto la fase di pulitura, e non si estirpa la radice dal terreno. È utile portare con sé un paio di guanti, un coltellino, un paio di forbici, un cestino e un sacchetto di carta, che serve per conservare le erbe soprattutto se il tragitto fino a casa è lungo, poiché la plastica le fa molto “sudare”. È preferibile evitare il contatto diretto con la plastica».
 

Mina Novello
Pianta di buonenrico
Oltre all’aspetto pratico legato al consumo delle erbe raccolte, la loro conoscenza favorisce anche quella del territorio. La storia di un luogo è sempre legata alla sua terra, e questo è un concetto che Mina padroneggia da sempre. Merito suo? Di suo padre? Quel che è certo, come spiega lei stessa, è che «la sapienza contadina si va riducendo sempre di più. La conoscenza delle erbe spontanee ha accompagnato l’uomo per migliaia di anni, anche attraverso esperienze negative, come la morte e il dolore, che hanno operato una selezione fra quelle buone e quelle meno buone. Dopo la Prima Guerra Mondiale, Oreste Mattirolo, presidente dell'Accademia di Agricoltura di Torino, presentò ai soci dell’ateneo una sua ponderosa ricerca sul “censimento delle specie vegetali alimentari della flora spontanea del Piemonte”. Consapevole che le conseguenze della guerra sulla produzione agricola avrebbero continuato a determinare difficoltà nell'approvvigionamento del cibo,  era convinto fosse necessario reperire nuove fonti di nutrimento. Un pensiero sicuramente molto all’avanguardia, precursore di molte teorie arrivate poi con gli anni».

Mina è convinta che si potrebbe fare molto di più per diffondere il consumo delle erbe spontanee, con benefici per la salute, e anche per le proprie tasche. «Perché, mi domando, in alcune zone non lontane da qui esistono realtà turistiche ed eventi molto seguiti che spingono verso il consumo di queste erbe “povere”, e qui nel Biellese non c’è interesse? In Italia ci sono ristoranti stellati che lavorano quasi solo con questi prodotti della terra».
Una questione culturale, probabilmente. «È difficile, benché non impossibile, imparare da adulti quello che non si è imparato da bambini. Il mio amore per la botanica è arrivato da mio padre e da quella sua frase: “Se ami davvero i fiori, devi chiamarli con il loro nome”».

Qui, la ricetta dei Ravioli di patate, ortiche e toma preparati da Mina Novello

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